Superbonus, nuova beffa: tasse più alte per chi rivende la casa
Il provvedimento non riguarderà gli immobili ereditati e le prime case ma soltanto quelli ristrutturati prima di cinque anni dal termine dei lavori e inteso come seconda abitazione.
Un brutto colpo per quelli che hanno effettuato lavori di ristrutturazione su case, ville o immobili sfruttando il Superbonus del 110%. All’interno della bozza della legge finanziaria proposta dal governo, la quale introduce un aumento significativo delle imposte al fine di generare entrate fiscali, si cela un punto cruciale che interessa coloro che hanno beneficiato dei vantaggi offerti dai sussidi edilizi. Questo punto potrebbe rappresentare una sfida significativa per tali individui. In particolare, chi decidesse di vendere la propria proprietà entro un periodo di cinque anni, si vedrà costretto a sostenere un onere fiscale più gravoso.
In quali casi è esclusa la tassazione
La misura in questione non si applicherà alle proprietà ereditate e alle residenze principali, ma riguarderà esclusivamente le residenze ristrutturate entro cinque anni dalla conclusione dei lavori e utilizzate come seconde abitazioni. In questo caso, i proprietari saranno tenuti a pagare le tasse sul profitto ottenuto se hanno scelto di ottenere uno sconto sulla fattura o la cessione del credito fiscale. Queste nuove disposizioni, contenute nell’articolo 18 della bozza di legge di Bilancio, entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo, a meno che non subiscano modifiche durante il processo parlamentare. È evidente che il governo miri a colpire coloro che, sfruttando gli incentivi, abbiano cercato di trarre profitto dall’acquisto di proprietà a basso costo, ristrutturandole con l’aiuto dei bonus, al fine di rivenderle come nuove e non utilizzate.
Con l’entrata in vigore dal gennaio 2024, le plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili su cui sono stati eseguiti interventi con il Superbonus, a condizione che questi siano stati completati entro un periodo di cinque anni dalla conclusione dei lavori, non saranno considerate “redditi diversi”. Di conseguenza, il 26% di tasse sarà calcolato sull’intero importo della plusvalenza e non solo sulla parte che rappresenta l’incremento di valore dovuto alla ristrutturazione agevolata. Tuttavia, questa regola non si applicherà agli immobili acquisiti per successione o utilizzati come residenza principale per la maggior parte dei cinque anni precedenti alla vendita.
Governo contro il Superbonus, ecco perché
Il governo ha manifestato in più occasioni la sua disapprovazione per l’incentivo del Superbonus 110%, approvato e sostenuto dai Cinque Stelle durante la pandemia. Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, ha costantemente criticato il Superbonus, considerandolo una vera e propria fonte di squilibrio nei conti pubblici.
Per affrontare questa situazione, il governo ha agito attraverso un “decreto anticipi” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale alcuni giorni fa, trasferendo ulteriori 15 miliardi di euro al fondo dedicato a finanziare i massicci sconti legati ai lavori di ristrutturazione di case e condomini. Questa mossa è diventata necessaria dopo che, su indicazione di Eurostat, il peso dei crediti fiscali accumulati quest’anno è stato interamente contabilizzato nel deficit del 2023, portando il deficit previsto dall’originale 4,5% al 5,2%. Di conseguenza, era necessario incrementare le risorse disponibili. L’aumento per il 2023, come spiegato nel decreto, è finalizzato a “perfezionare le regolazioni contabili del bilancio dello Stato relative agli incentivi per i bonus edilizi”.
Queste misure rappresentano un ulteriore stringimento, che, secondo gli obiettivi del governo, mira a colpire coloro che hanno tratto significativi profitti e plusvalenze grazie all’incentivo, sottolineando l’obiettivo di regolare e riequilibrare la situazione economica derivante dai bonus edilizi.
Fonte: QuiFinanza